lunedì 17 dicembre 2007

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Cara Giulietta,
sono qui in biblioteca a cercare di fare un po’ d’ordine nei miei pensieri, dopo aver provato a fare un esame che non potevo passare, non avendo studiato.
Che cazzo mi succede? Cosa diavolo mi prende?
Non lo so. E’ questa costante paura di fallire che mi fa, per assurdo, evitare qualsiasi momento di confronto. Mi sento una fallita, una buona a nulla. Ho lasciato il lavoro per studiare, e qual è il risultato? Che non faccio bene nessuna delle cose.
Mi affanno a fare qualcosa in casa per avere l’approvazione dei miei, non riuscendo ad ottenerla in altro modo.
L’altra sera sono uscita con E. e con i G., uno laureato insieme a lei. Io e l’altro abbiamo qualche difficoltà, anche se per motivi diversi, e lei esce con uno “spero che ti laurei prima possibile, se non ti dai una mossa, te la do io”. Ma cazzo! E’ mai possibile che non riesca a trovare le parole per farmi del bene più che del male? E’ già frustrante sentirsi degli incapaci, inadeguati alle aspettative degli altri e delle proprie! E’ già dura convivere giorno per giorno con il ricordo di uno splendore passato che non riesco più a trovare!
Possibile che non capisca che, invece di farmi bene, con le sue parole mi fa male? Possibile che, nonostante tutte le volte che mi sono allontanata, non capisce che forse a volte ho bisogno che qualcuno non minimizzi i miei pensieri, che non li veda come mera richiesta di attenzione?
Possibile che, mentre io intuisco quando qualcosa in loro non va, loro non ci riescano?
Cazzo! Mi sento trascurata… Mi dice che sono la sua amica più importante, la migliore.
Allora com’è che quando mi sono allontanata, non ha cercato di capire il vero perché? Quando le ho detto che quel suo messaggio, prima di partire per Tarvisio, mi aveva fatto male… non mi ha chiesto scusa. Era tutto quello che mi aspettavo. Non che capisse che volesse dire sentirsi in un certo modo, o che capisse che su certe cose forse sarebbe meglio non scherzare.
Avrei voluto semplicemente che mi chiedesse scusa. Invece mi ha detto “io ho scritto, ma gli altri me lo hanno suggerito”. E allora? Che vorrebbe dire? Che se gli altri hanno un pensiero cattivo, sentendoti forte del gruppo, puoi farmi male?
Io non la penso allo stesso modo. Spesso, quando giocavo, o all’università, se ritenevo dei commenti non giusti, o dettati dall’invidia pura, me ne distaccavo, senza paura di rimanere sola.
Non so se ne sto facendo un caso di stato, ma il fatto è che mi sto scoprendo ancora irritata.
Anche con K. non mi sento più la stessa. Con nessuno di loro.
Il fatto che mi vedano come una povera vittima mi manda in bestia.
Vorrei essere come loro, ma purtroppo la mia testa và da tutt’altra parte. E sto cercando di porre rimedio, ma non è facile. Anzi, sono più le ricadute che gli slanci verso l’alto.
Quando non uscivo con loro o comunque non avevo contatti con loro, mi sembra che le cose andassero meglio. Non sentivo l’influsso negativo di queste amicizie. Non sentivo il giudizio, la compassione per la mia eccessiva razionalità, che io invece sono grata di avere, per avermi salvaguardato da situazioni rischiose più e più volte.
Non sentivo il bisogno di scusarmi per ogni pensiero che non segua una certa linea. Non sentivo il confronto fisico, non sentivo la sconfitta nel constatare che non sarò mai magra.
Non sentivo la frustrazione nel dover spiegare perché non mi sentissi a mio agio in mezzo agli altri, come invece risultava a loro senza problemi, volendo anzi a volte sentirsi protagoniste.
C’è sempre qualcosa più importante… di me, di quello che faccio, di quello che penso, di quello che provo.
E’ come se la mia mente non volesse liberarsi, non volesse evolvere, non volesse tradire anni e anni di vita vissuta a tu per tu solo e solamente con se stessa.
E’ brutto, in un’atmosfera di festa, non sentire, non provare gioia. E’ triste non avere slanci, desiderare solo che la festività passi, per non dover pensare a “doversi divertire”.
E’ altrettanto triste sentirsi così durante le feste, quando vorresti solo essere spensierato, goderti i preparativi, vivere in armonia con chi ti sta accanto.
Questi ultimi giorni hanno messo a dura prova la mia stabilità emotiva. Vedere nel viso di certi tuoi familiari quell’aria di sufficienza, quell’espressione di compatimento. Vedere come i tuoi sforzi nel fare quello che sai fare, non vengano –non dicono esaltati- ma almeno riconosciuti per l’impegno messoci. Una sorta di castrazione e di ammonimento con un solo sguardo. Che mi portava a pensare “Ma chi me lo fa fare per questa persona? Che si faccia lei le cose!”.
E di conseguenza, io non avevo nessuno slancio nelle cose da fare extra. Che, come in un circolo vizioso, provocava il suo disappunto.
Ascolto “Uno su mille “ di Moranti e spesso me la devo canticchiare, per avere ben presenti nella mia mente quelle parole. «Se sei a terra, non strisciare mai; se ti diranno “sei finito”, non gli credere, devi contare solo su di te…Uno su mille ce la fa, ma quanto è dura la salita; in gioco c’è la vita.»
Sembra fatta a posta per me. Io voglio farcela. Voglio crescere. Voglio diventare autonoma. Voglio realizzare la trinità dell’amore –amare se stessi, amare l’altro e lasciarsi amare- nella semplicità delle cose, senza tendenze morbose o masochiste.
Voglio spiccare il volo, aprire le mie ali e riuscire a contare su me stessa, senza dover sempre ricevere l’approvazione altrui.
Voglio essere grande, e non sentirmi costantemente una bambina, una piccola Chiara che si fa ancora più piccola quando sente aria di rimprovero o che non riesce a difendere le proprie idee al momento, senza sembrare una che si arrampica sugli specchi. E che trova le risposte giuste solo quando è da sola e il dibattito è ormai finito. Devo sempre stare a difendermi, per ogni cosa che dico, per ogni cosa che faccio.
Si fa strada in me, sempre più prepotente, l’idea che se vivessi da sola, questi malesseri non ci sarebbero. Ma come poter vivere da sola non lavorando? Impossibile. Però ci sto pensando. Devo trovare un modo di vivere migliore.
Mi sveglio e sono sempre più i giorni in cui non vorrei svegliarmi che quelli sì; i pasti li consumo in uno stato di nervosismo incredibile, per il fatto che si discute sempre per cazzate e che non si può sentire un telegiornale in pace senza cadere nei soliti e quotidiani ricatti emotivi di certe persone.
E poi mi stupisco se nella mia mente si affacciano immagini del passato che la mia mente ha dimenticato. Istinto di sopravvivenza, io credo…

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